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ATTI
DELLA
R ACCADEMIA DEI LINCEI
ANNO GGLXXVIII
1880-81
MEMORIE
DELLA CLASSE DI SCIEJIZE MORALI. STORICHE E FILOLOGICHE VOLUME IX.
ROMA
COI TIPI DEL SAL.V1UGGI
1881
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DELLA
R. ACCADEMIA DEI L
ANNO GGLXXVIII
1880-81
MEMORIE
DELLA CLASSE DI SCIENZE MORALI. STORICHE E FILOLOGICHE
VOLUME IX.
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COI TIPI r>EL SALVIUCCI
X
932925
storia delle dottrine finanziarie in Italia. Memoria del prof. GIUSEPPE RIGGA-SALERNO
approvata per la stampa negli Atti dell'Accademia
nella seduta del 18 dicembre 1880
premiata al concorso C'ossa per l'anno 18S0.
INTRODUZIONE
Questo lavoro, eh' io presento ai cultori degli studi storici ed economici dopo' lunghe e pazienti ricerche, è il primo tentativo che siasi mai fatto di una storia delle dottrine finanziarie in alcuno degli Stati piìi civili. Abbiamo infatti pregevoli storie, generali e parziali, della economia politica, come son quelle del Kautz, del Koscher, del Pierson, del Colmeiro e di altri ; ma nessuna che si riferisca in ispecie alla scienza delle finanze, intorno a cui non si posseggono che notizie frammentarie, pivi 0 meno incomplete e inesatte. Eppure la grande importanza che hanno acqui- stato ai nostri dì le quistioni finanziarie nel vasto soggetto della pubblica ammini- strazione, e lo svolgimento ammirabile della stessa disciplina rendono sempre piìi vivo r interesse e maggiore l'utilità di conoscere le sue origini, vicende e progressi. Indagare e descrivere il corso, ora lento ed umile, ora rapidissimo e fastoso, del pensiero nel campo della finanza non è oggetto di mera curiosità od argomento di semplice erudizione ; ma forma, per cosi dire, parte essenziale della stessa scienza, e si connette coi piìi alti postulati della teoria e eoi problemi piìi. gravi della pratica finanziaria. Vi è un intimo nesso e passano relazioni scambievoli tra queste diffe- renti maniere d' indagine.
La pratica o meglio l'arte finanziaria desume dalla storia utili esempi ed am- maestramenti opportuni, ricercando nello svolgersi dei fatti e delle idee del passato i mezzi e i criteri per migliorare gli ordini presenti e apparecchiare i progressi dell'avvenire. GÌ' istituti fondati e riordinati via via nei tempi trascorsi colle discus- sioni teoriche, che ne prepararono e compirono l'attuazione, servono di documento giovevole e di norma in ciò che vuol operarsi di somigliante nel tempo nostro. E d'altra parte la scienza pura, studiando gli avvenimenti pubblici nelle loro cause e nei loro effetti, considerando il nascere e lo sparire di certi ordini finanziari, i bi- sogni, gli usi e le esigenze della pratica, può chiarire meglio o correggere le sue dottrine, determinarne il significato preciso, l' indole e i limiti di applicazione. Una
teoria, come un' istituzione civile, s' intende pienamente quando viene considerata liei suo svolgimento storico e in relazione colle circostanze di tempo e di luogo che hanno contribuito a darle esistenza, e che poi ne cagionano le modificazioni suc- cessive; s'intende come risultato ultimo e conclusione di lunghe dispute, di ripe- tute prove e di circostanze variabili. E raccogliere le sparse fila del pensiero scien- tifico e dimostrarne l'ordine intrinseco è il lavoro della storia, tanto proficuo alla teoria e alla pratica.
In questo modo, seguitando il corso delle idee e dei fatti per lunga serie di anni, possono delincarsi quelle tendenze generali, che dominano nella scienza e nella vita, e costituiscono i principi fondamentali o le supreme leggi della finanza; le leggi a cui s'informano e istituzioni e dottrine. Perocché le une e le altre sono parti di uno stesso sistema, che si svolge e si compie nella successione del tempo, e vanno soggette alla medesima legge di evoluzione.
La storia delle dottrinai finanziarie in Italia,''per la copia e la molteplicità degli esempi, ha speciale importanza, e comprende una serie non interrotta e svariata di opinioni, discussioni e teoriche, le quali per lungo volgere di tempi, dal primo ri- nascere della civiltà nel medio evo sino all' ultimo rinnovamento nazionale, si colle- «■ano in diverso modo cogli ordini politici e finanziari dello Stato e s'intrecciano va- riamente colle origini e coi progressi della scienza nel resto d'Europa. Acciocché possa darsi un giudizio esatto ed intiero sopra di esse, conviene abbracciare col pensiero queste relazioni diverse, e desumerne i criteri, non pure dai piìi saldi principi della teoria, ma dalle ragioni speciali e dalle circostanze relative ad ogni singola età. Oggetto immediato e proprio delle mie ricerche sono bensì le dottrine finanziarie, comesi sono svolte in Italia; e il compito mio si restringe a fare di esse una esposizione critica, per quanto sia possibile, chiara, ordinata e compiuta. Ma appunto per raggiungere un tale scopo occorrono quei raffronti che abbiamo detto, e bisogna tener conto dei fatti, che gettano luce sullo svolgimento delle idee. E però, mirando direttamente a dimostrare il processo storico e l'ordine delle teoriche riguardanti la finanza, sono ricorso a tutte quelle fonti che mi fu dato di compulsare, e ad un tempo per contrapporvi gli opportuni riscontri di fatto e recarvi equi giu- dizi comparativi ho attinto ai migliori libri di storia civile ed economica. Questa seconda parte delle mie indagini è circoscritta dentro limiti ristretti e subordinata al fine del presente lavoro, che sta nell'illustrare le fasi della scienza delle finanze in Italia. In tal guisa la storia delle dottrine finanziarie, non solo potrà diventare un documento prezioso di sapienza civile dei nostri maggiori, ma, dimostrando le attinenze e le reciproche influenze dei bisogni e delle leggi cogli studi e colle di- scussioni, e di questi col progresso della scienza in generale, formerà una sorgente viva di vari e fecondi ammaestramenti. Ed infatti presso gli scrittori di cose poli- tiche, a cominciare dal medio evo e poi venendo ai migliori economisti del secolo decimottavo e decimo nono, si trova in Italia una serie svariata di opinioni, contro- versie e teorie finanziarie, che illustrate deliitamente fra loro e poste a raffronto coi fatti, colle idee del tempo, possono formare una splendida tradizione scientifica. Seguono le vicende e le sorti politiche, economiche e morali della penisola; sono manifestazioni o forme particolari della vita nazionale, delle- sue tristi o liete
vicissitiuliui; e si conuettoiio con tutti gli elementi essenziali della civiltà. Ora a mettere in chiaro questa tradizione di idee, ci muovono non solo ragioni di ordine generale, ma altresì di convenienza e di opportunità, che riguardano lo stato presente della finanza italiana.
Imperocché noi assistiamo ad un tale rinnovamento di cose nell'amministrazione dello Stato e in ogni altra parte del vivere civile, che a lungo andare parrà straor- dinaria e air intutto fuor dell' usato nella storia. L' Italia dopo gli ultimi rivolgi- menti politici, che ebbero per effetto la sua compiuta indipendenza ed unità e con esse la costituzione del nuovo regno, si è messa in quella via maestra di progressi civili, nella quale si trovano da lunga pezza altre nazioni eulte di Europa : e quindi va sempre piìi provando i bisogni della vita moderna, le sue difficoltà, le sue lotte ed esigenze molteplici, e subisce gì' influssi delle nuove idee. Così nella pratica dell' amministrazione pubblica , come nella teoria, un indirizzo più largo e diverso ora prevale ; si è ampliata la sfera d'azione , e accresciuti gli elementi , complicati i problemi, elevati gli scopi, estese le relazioni della vita politica e sociale ; nuove dottrine, nuovi metodi sono invalsi da per tutto; e si diffondono teorie, che hanno efficacia di rimutare sempre più il corso dei fatti. Esporre gli avvenimenti di que- sta età, e dimostrare gli sforzi durati, le vie seguite e i risultati ottenuti è com- pito di storici futuri, i quali potranno vederne il compimento e pronunziarvi un giudizio imparziale ed esatto. Ed intanto a noi, testimoni di ima mutazione così vasta, che alcuni cogli scritti e coli' insegnamento ed altri coli' opera infaticabile hanno prodotto nel campo economico e finanziario , incombe 1' obbligo di studiare gli ordini e le dottrine delle età trascorse, perchè s' intenda meglio il movimento attuale, si moderi anche in parte, e non manchino i criteri sicuri in ciò che deve operarsi. A risolvere i problemi che la pratica ci presenta di giorno in giorno, sempre più ardui e complessi, occorre una dottrina compiuta per ogni verso, e tale, clie accogliendo i migliori portati della moderna coltura europea, non trasandi le condizioni speciali del popolo e le tradizioni nazionali. E in pari modo il nuovo indirizzo degli studi per essere fruttuoso e veramente scientifico vuol informarsi certamente alle più larghe vedute e seguire i metodi esatti della ricerca moderna, ma senza porre in oblìo le giuste esigenze della vita e le qualità proprie della coltura patria. Lo studio degli esempi che ci offre la nostra storia, e degl' insegna- menti eh' essa ci porge giova mirabilmente allo scopo, tempera gli eccessivi ardi- menti, le soverchie astrazioni, modifica e compie il nostro giudizio. Perocché in que- sto modo ci sarà dato di riscontrare in parecchi ordini nuovi e in molte teorie , che oramai fanno parte della civiltà generale, le istituzioni e le idee, che nacquero nei tempi anteriori in Italia, e potremo apprezzare degnamente la parte che in ogni età presero gl'Italiani nella creazione della scienza. Estimando equamente le ragioni del passato, s'intenderanno meglio i bisogni e le coudizioni del presente a fine di preparare il migliore avvenire della finanza.
Il corso intiero delle dottrine , che dobbiamo esporre, va diviso in quattro grandi periodi od età; donde la divisione di questa Storia in quattro libri, suddi- viso ciascuno in capitoli. Si distinguono per caratteri propri e tendenze particolari.
che traggono origine dalle idee morali, dagl' istituti e dagli eventi politici e dalle condizioni economiche predominanti.
La prima età medievale o dei Comuni contiene in germe molte idee e istitu- zioni, ch'ebbero largo svolgimento nei secoli posteriori. Ed anche nella finanza, come in altri rami di politica e di amministrazione pubblica, ci offre i primi modelli ed esempi di quegli ordini, che hanno vita negli Stati moderni. Le materie finanziarie tenevano un posto principale nella scienza e nell'arte di Stato degli uomini che si trovarono al governo dei Comuni. A questa età, in cui appaiono sotto il libero regime del popolo i primi saggi di sapienza civile, succede il lungo periodo del dominio assoluto, il quale, reso ancor più grave in Italia dalla preponderanza stra- niera, ha cagionato mali infiniti, ha dato luogo a innumerevoli gravezze, arbitri e vessa- zioni; e parimente ha prodotto nella teoria dei migliori politici una forte e salutare reazione, che apparecchiò di lunga mano il terreno ai _p regressi e alle riforme dell'età successiva. E si è nel terzo periodo, il quale abbraccia gli ultimi tre quarti del secolo decimottavo, che l' ingegno italiano dimostra tutto il suo splendore nelle ma- terie civili, la scienza estende il suo campo e diviene veramente efifrcace, le dot- trine finanziarie si connettono intimamente cogli ordinamenti pubblici, e riappare qua e là in varie regioni d'Italia quell'accordo della teoria colla pratica, di cui si ebbe un qualche saggio nelle repubbliche medievali. Infine, troncato il corso al pa- cifico svolgersi delle istituzioni politiche ed economiche nella penisola coi subitanei i-ivolgimenti francesi, succede di poi un certo ristagno verso il principio del secolo e indi quel lento apparecchio, che mette capo al rinnovamento nazionale. Cosi la storia delle dottrine finanziarie segue in tutto le fasi del nostro paese, e diviene lo specchio delle sue varie vicende, de' suoi dolori e delle sue glorie. E i grandi periodi, in cui è divisa, distinti per carattere e indirizzo generale, corrispondono a quegli eventi massimi che contrassegnano le diverse età della Storia civile.
Chiarito in questo modo il fine del presente lavoro e dimostrati i criteri con cui è stato condotto 'e i limiti dentro i quali vuol mantenersi, non mi rimane che soddisfare a un debito di riconoscenza, porgendo pubbliche grazie agli uomini com- petenti che nell'Accademia dei Lincei giudicarono benevolmente il frutto delle mie ricerche, assegnandogli un premio molto onorevole, e in particolare al prof. Luigi Cessa, il quale mi eccitò a tali studi e coi consigli e cogli aiuti rese piti agevole il compito mio.
LIBRO PRIMO La linanza nel medio evo e nell' età dei Comuni.
Capitolo Primo Condizioni e dottrine finanziane in generale.
La nota essenziale che contrassegna la vita politica dei popoli europei nel medio evo è la dissoluzione del potere sovrano per ogni rispetto ed ufficio. Assai debole e manchevole era il concetto dello Stato, confuse le parti spettanti all'autorità pub- blica e alle persone private, e quindi impossibile il creare un forte e ben rego- lato sistema di governo. I diritti della sovranità come si erano costituiti e deter- minati nel potente impero di Roma, furono menomati o distrutti per influenza di quel sentimento di libertà che i Germani recavano seco ; e passarono a mano a mano nei Grandi e nella Chiesa, e poi nelle città e nei signori feudali. E in ogni mani- festazione della vita pubblica potevano discernersi gli effetti di una lunga lotta tra il principio antico di autorità sovrana e la nuova tendenza irrefrenabile di autonomia individuale; perchè dovunque, m proporzione diversa, secondo la varietà dei luoghi e delle circostanze, le idee, i costumi e le istituzioni, subivano gì' influssi di quelle due cause opposte. In tal modo i Comuni, specialmente in Italia, poterono arric- chirsi via via di privilegi e di facoltà a spese del Principato e dell' Impero e diedero un' immagine fuggevole sì, ma assai viva, di ciò che doveva poi essere lo Stato moderno.
Di questi caratteri improntavasi eziandio la finanza pubblica ; nella quale non mancavano le imposte prelevate a titolo pubblico e in conseguenza del vero potere sovrano ; ma era maggiore il numero delle prestazioni richieste a titolo privato , e in virtìi di quel giure primitivo, eminente, che il principe riteneva sovra ogni ma- niera di possesso e d' industria, e che palesavasi nelle concessioni fatte ai privati. Questa autorità od alto dominio sugli uomini e sulle terre spettava propriamente al re d' Italia o Imperatore, da cui per tacita o per espressa concessione doveva provenire ogni diritto pubblico per essere considerato legittimo ('). L' imperatore e i principi che godevano il pieno esercizio del potere, avevano i diritti detti regali.
(') Fed. Sclopis, Storia dell' antica legislazione del Piemonte. Torino 1833, p. 6-7. Un cronista milanese, citato dal Verri (Storia di Milano, Firenze 1851, voi. L p. 103-104) dice, che Tarcivescovu Ariberto (1045) riscuoteva per concessione del sovrano i tributi, e doveva tenere difeso il contado e risarcire del proprio i danni secondo la sHimi che ne venisse l'atta (Flauuua. (jhron- incdiul. cip. '.221 .
— 8 — maggiori e minori; e questi ultimi riguardavano il tìaco, le pubbliche entrate, le confische e simili. Il complesso di tali diritti ripartivasi tra il principe e i signori feudali. Kimanevano all'imo come fonti principali di entrata i beni del demanio, i dazi posti al transito delle merci per le vie dei territori soggetti immediatamente al sovrano, alcune gabelle sovra lo spaccio delle .derrate, oltre le multe e le con- fische giudiziarie. Gli altri erano possessori di molte terre, su cui avevano la piena giurisdizione, e potevano dentro certi limiti esigere dalle genti sottoposte collette ordinarie e straordinarie, distribuite sulle persone, sui beni e sulle industrie; mentre erano tenuti per consuetudine di pagare al principe somme fisse a tempi determi- nati, di prestargli sussidi in alcuni casi, e di tributargli in qualche luogo un annuo censo ('). Diversa era poi la condizione e vari gli obblighi fiscali dei sudditi, se- condo che appartenessero al ceto dei nobili, dei livellari o dei tagliabili. Ai nobili spettava fra gli altri privilegi la franchigia da ogni tributo, da ogni balzello od accatto, fuorché da quelli, ch'essi medesimi consentivano a titolo di dono. I livel- lari tenevano case o poderi in ragione di censo, feudo o livello , ed erano quindi obbligati a certe prestazioni annue di denaro, di grano, d'altre derrate, ed anche a servigi personali in parecchi casi stabiliti. Misera poi oltremodo era la condizione dei tagliabili {talliabiles ad misericordiam) ; i quali, non solo dovevano pagare un tributo 0 taglia annuale in quella somma, ch'era per antica consuetudine o per nuovo accordo stabilita e in quella che il principe determinava a piacer suo, ma venivano considerati come servi addetti alle terre e per se incapaci di vera proprietà. E però, vigendo patti , consuetudini e leggi diverse, ne veniva una grande varietà di tributi, di canoni, di prestazioni d'ogni genere , secondo i luoghi e le persone dift'erenti ('). Ma tra circostanze cosi diff'ormi era notabile la distinzione fondamen- tale di dominanti e dominati, di liberi e servi, distinzione caratteristica della società medievale. Da una parte ogni privilegio, ogni possesso e un forte dominio territoriale senza obblighi corrispondenti verso il principe, non essendo tali vera- mente le largizioni volontarie, fatte in alcuni casi per consuetudine, e i servigi perso- nali, resi col consiglio, colla giurisdizione e colle armi : e dall'altra parte i carichi, le obbligazioni e il dovere assoluto di pagare le imposte senza alcun limite o condi- zione. L'imposta per se stessa si considerava come seguo di servitìi, come una dura ed umiliante pena dei popoli soggetti, e aftatto indegna delle schiatte libere e forti ('). La finanza dello Stato medievale, che nella forma politica e nelle relazioni giuridiche rendeva imagine di quel potere scisso tra vari capi e di quella società divisa in classi diverse, comprendeva in se misti e confusi molteplici elementi eco- nomici, che poi nei secoli successivi presero uno svolgimento assai largo e ben dif- ferente. Predominava in essa il carattere patrimoniale che era la base di quella economia pubblica , la quale differiva poco dalle aziende private. Le spese per il principe, per la sua corte, per la difesa dello Stato e per iscopi di utilità generale
(') A. Fertile, Storia del Diritto italiano. Padova 1873, voi. 1, p. 321-2. (') L. Cibrario, Della finanze della Monarchia di Savoia nei secoli XIII e XIV (1831) (nello Memorie della r. Accademia delle .scienze di Torino, voi. XX.XVI, p- 81-87).
(': L, V. Stein. Lehrhurh dei- Finaiizwisscns':lwl't, [\ Aull.) Leipzig' 1«78, voi. I, p. 103- li'^.
avevau luogo in quanto che non potea provvedersi direttamente coi servigi personali ('). E le entrate, richieste a tal uopo, derivavano principalmente da possessi fondiari e da altri diritti analoghi, i quali formavano un tutto molto simile al patrimonio privato ('). Il principato medesimo appariva quale proprietà privata della famiglia regnante, e soggiaceva alle vicende mutabili di essa. Per mezzo di grandi possessi fondiari pote- rono i Merovingi, i Carolingi, gli Ottoni, i Salici, i Franconi creare vasti e potenti domini, che presto si disciolsero col dividersi di quelli e passare in mani diverse. E nondimeno nel patrimonio di quei principi i caratteri politici non erano in- tieramente scomparsi, e la qualità pubblica del loro reddito si discerneva qua e là in modo più o meno evidente: perchè i beni e diritti loro traevano origine dal giure eminente, proprio della sovranità ; e perchè insieme con essi facevano parte della finanza regia varie specie di contribuzioni. Le tasse o si percepivano dii-etta- mente come retribuzione di servigi resi dal .governo ai privati, o sotto forma di tributo mediante alcune regalie, quelle per esempio della giustizia, della moneta e simili ('). Le imposte ci presentano, benché in maniera vaga e imperfetta, tutte quelle forme tipiche, che poi furono svolte, perfezionate e definite nelle età susse- guenti. Così che abbiamo imposte dirette, personali e reali, come i testatici, i fuo- catici, e i tributi sui patrimoni, sui terreni e sulle industrie ('); e imposte indirette, quali i dazi esterni ed interni, i pedaggi, le gabelle e simili ('). Varie e molteplici, stabilite diversamente in tempi e circostanze differenti ; pagate in danaro e in na- tura (merci e derrate), conformemente alle condizioni allora dominanti della econo- mia uatm-ale; e rese molto gravi ai contribuenti dai privilegi e dalle disuguaglianze, dall' avidità dei signori locali e dai modi aspri ed arbitrari di riscossione ; forma- vano un prodotto considerevole, che nell'erario del principe serviva di complemento al reddito del demanio, e ai servigi personali dei sudditi ('). Gli elementi essen- ziali della finanza pubblica si trovavano allora congiunti, non bene distinti fra loro,
(') Così gli uomini erano tenuti a lavorare nelle fortificazioni, sulle strade, sui ponti e sugli argini, scavare i fossi , allargare i fiumi , costruire gli acquedotti ; opero che spettavano a tutti i comunisti e più frequentemente a coloro che avevano i fondi piìi vicini al lavoro o a cui vantaggio esso tornava. Neil" interno della città i singoli dovevano costrurre i portici, lastricare le contrade, tener pulite queste e le piazze, e così via dicendo. Vedi Fertile , Storia del Diritto italiano. Padova 1880, voi. II, p. ISp. 487-89.
(') G. Schraoller, Die Epochen ckr pmussischm Fi nanzpolitik (nel Jahrbuch fiir Gesetzgebung Verwaltung und Volkswirtlischaft v. HoItzendorfF u. Brentano, 1877, p. 35-36).
('), Cibrario, Delle finanze della Monarchia di Savoia, p. 200-202. Introgio, come a dire entrata, era una tassa, che dovea pagare al principe colui che veniva- gratificato di un ufficio, di un privi- legio, di mia licenza; e un'altra tassa analoga si pagava pel sigillo, apposto a ciascuna di tali prov- visioni. Ascendevano talora a somme considerevoli: ma in Piemonte si stabilivano di volta involta: nel regno di Napoli vi era tariffa fissa. Per i particolari e gli esempi si vegga : L. Cibrario, Della economia polilica del medio evo, Torino 1861, voi. II, p. 123; L. Bianchini, Della storia delle finanza- del Regno di Napoli. Napoli 1834, voi. I, p. 403.
(') Pertile, Storia del Dirilto italiano, I, 324-390. Giova avvertire che alcuni di questi tributi, i quali gravavano specialmente sulle classi inferiori, erano prima sussidi straordinari, consentiti dai soggetti e ripartiti sovra i fuochi o sui beni stabili, e divennero poi permanenti o ordinari.
(■) Cibrario, Economia polilica del medio evo. II, p. 110-115.
(') Schmoller, Die Epochen der pretesi. Finanzpolitik, p. 3G-38.
CI.A.SSK ni .stlKNZK jh'Hai.i ecc. — MEMoKir. — Voi.. IX.' 2
_ 10 — e per cosi dire iu germe e coufusi : esistevano le principali sorgenti delle entrate ordinarie, quantunque con proporzioni e forme diverse ('). La prevalenza spettava al demanio e ai diritti demaniali; il carattere predominante era il patrimoniale o privato; la parte maggiore constava di servigi personali e di prestazioni rese in natura. L'azienda del principe era conforme alle circostanze di fatto, in cui trovavasi, l'economia generale; che divisa in piccole frazioni senza i mezzi e la libertà degli scambi e dei rapporti profi- cui, restringevasi nei confini di ciascun luogo o dominio feudale, e riducevasi alle prime forme rudimentali dei baratti e delle arti esercitate singolarmente dagli uomini in vista del bisogno immediato.
Se non che i proventi ricavati da tali cespiti non bastavano spesso a soddisfare le spese pubbliche per diverse ragioni, che si riferiscono agi' istituti finanziari e amministrativi imperfetti e disordinati, al lusso immoderato delle corti, alla fre- quenza delle guerre e simili : e allora i principi nei casi di estrema necessità ven- devano terre demaniali e uffici governativi, alienavano tributi e diritti regali, e, dentro i limiti del possibile, contraevano prestiti forzati o liberi, dando a tal uopo in pegno il vasellame e le gioie della famiglia a qualche banco di ebrei, caorsini 0 lombardi, i quali ne ritraevano grosse usure ('). Di che seguivano molti effetti dannosi e un grave disordine finanziario. Per ovviare a questi mali si ricorreva spesso all' espediente dei sussidi o donativi, che formavano in quei tempi il sistema migliore di sopperire ai bisogni straordinari dello Stato ed uno dei punti pivi sa- lienti della finanza. Erano questi sussidi tributi straordinari in danaro pagati a un tanto per fuoco o famiglia, non imposti liberamente dal principe, ma chiesti ai no- bili e popolani ed anche ai prelati, e da loro consentiti, prima isolatamente da ciascun nobile o comune, prelato o capitolo, indi collettivamente nelle adunanze elio si dissero stati e furono generali e provinciali. Gli stati generali in ispecie erano un consiglio nel quale intervenivano i deputati del clero, della nobiltà e dei comuni, immediatamente soggetti al principe; davano il loro parere sulle cose di governo intorno a cui venivano interrogati; prendevano una grande parte alla cosa pubblica nei tempi difficili ; ed avevano eziandio l' ufficio permanente ed efficacissimo di con- cedere al sovrano i sussidi in alcuni casi determinati e nelle più gravi emergenze dello Stato ('). Si distinguevano quindi tali sussidi in ordinari e straordinari. Gli ordinari eran quelli che dovevano pagarsi al signore per antica consuetudine nei così detti casi reali o comitali : cioè quando il principe andava alla crociata; quando era necessario riscattare la terra o la persona di lui dai nemici; in occasione del
(') A. Wagner, Finanswissenschaft, 2 Aufl. 18"?7, I, p^ 340-42.
(') L. Cibrario, Origirie e progressi delie istituzioni della Monarchia di Savoia. Firenze 1869, 2» ci. p. 253-54. I Giudei per avere facoltà di prendere stanza in una terra e di prestare su pegno pagavano al principe un tributo annuo detto slagio, che da prima fu individuale poi collettivo quand'essi divennero più numerosi e facevan corpo di nazione, ma che sempre si riferiva al numero delle teste. Così nel 1300 le somme pagate dagli Ebrei della Monarchia di Savoia furono di L. 3,481,16 soldi e 6 danari viennesi (45,9(50,09); e nel 1344 pagavano 116 fiorini d'oro e "3 alla metà d'ogni mese, cioè 1474 e «'3 l'anno (■29,236,r)l). Analoghi tributi eran pagati dagli altri prestatori di quel tempo, caorsini e lombardi. Nel 1311 le pensioni, pagate dai lombardi, ascendevano nella stessa monarchia a L. UG, .5 soldi e 0 danari di grossi torncsi (56,089,99) (Cibrario, Economia politica del medio evo, p 107-109).
(') F. Sclopis, .Storia dell'aniica legislazione del Piemonte. Torino 1833, 118-19.
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matrimouio delle figlie; per la nuova milizia del primogenito; e quando dovea respingersi una guerra che minacciasse la quiete pubblica. E i sussidi straordinari si riferivano alla venuta dell' Imperatore , alla ricompra di rendite demaniali , all'acquisto di una terra, all'edificazione di un castello, e alle necessità della guerra, ove non bastassero le entrate dell'erario, e ad altri oggetti somiglianti. Si stabiliva inoltre in quei consigli, se il sussidio fosse concesso per una volta sola o per più anni consecutivi ; e si ordinava la maniera di esigerlo e distribuirlo tra i sudditi 0 per ogni capo di famiglia a im tanto per fuoco, o secondo la proporzione dei beni ; ora francandone i religiosi e i nobili, quand' essi avevano vassalli che pa- gassero, 0 quando militavano nella guerra per cui era chiesto il sussidio ; ora di- chiarandone esenti i fuochi dei poveri, degli orfani e delle vedove, ed anche stabi- lendo talvolta che i ricchi pagherebbero per i poveri; e sempre fissando i termini e le quote di pagamento ed altre condizioni e modalità, del tributo ('). E però s'intende di leggieri come questi sussidi ripartiti e riscossi con una certa regolarità dovessero riuscire meno gravi e molesti, che non i balzelli consueti, nei quali vi erano numerosi arbitri, frequenti abusi e grandissima confusione. « E forse la prima sor- gente del beneficio di un' aggiustata e proporzionale distribuzione dei tributi , non che il primo desiderio di una plausibile universale perequazione sono da riferirsi a queste adunanze, che formano anche il primo grado per cui i comuni ascesero ad aver sede nell'associazione politica di tutto lo Stato » (').
La ragione intima di questi fatti sta in ciò, che nel medio evo avea general- mente vigore il principio, secondo il quale non potevano accrescersi in qualsi:^si mado i tributi fuor dei casi previsti dagli statuti , dai contratti e dalle usanze ordinarie senza il consentimento dei soggetti ('). Potevano aumentarsi bensì le gabelle, i dazi e in genere le imposte indirette , e moltiplicarsi liberamente secondo il volere del sovrano ; ma le imposte dirette dovevano rimanere in quella misura e dentro quei limiti , in cui la consuetudine antica o gli accordi reciproci le avevan poste. E quando si accrescevano o se ne introducevano di nuove contro le prescrizioni della legge e senza il consenso di coloro che dovevano pagarle , prendevano presso il popolo nome di accatti, di maletoUe ed anche di mal danaro , reputandosi opera ingiusta e non degna di un principe buono. Il sentimento fiero d' indipendenza in- dividuale, proprio dei nobili e delle classi libere di quei tempi, si ribellava all' im- posizione diretta dei tributi, levati per semplice forza di autorità sovrana. E quindi, non bastando ai bisogni variabili della pace e della guerra i beni demaniali e gli ordinari diritti regali, né potendo accrescersi indefinitamente i tributi indiretti, dovea ricorrersi ai sussidi anzidetti per evitare i mali di altre maniere meno giuste e convenienti di far danaro. La necessità in cui si trovarono i principi di chiedere frequenti sussidi, 1' indugio soverchio e le diificoltà che portava l'ottenere singolar- mente il consenso dei sudditi, diedero luogo alle adunanze degli Stati, che son
(') Cibrario, Uelle finanze della Monarchia di Savoia, p. 230-234 ; F. Sclopis, Degli Slati gene- rali e di altre istituzioni poliliche del Piemonte e della Savoia. Torino 1851, p. 34-36.
(') Sclo])is, Degli Stati generali, p. 40.
(') Cibrario, Delle finanze delta Monarchia di Savoia, p. 230; Macaulay, llisturi/ of Engtand. London 1858. L p. 43-45.
molto antichi in Ispagna, in Portogallo, in Inghilterra e nel regno di Napoli , dei primi anui del secolo XIV in Francia, e degli ultimi di questo secolo in Savoia. L' imposta assumeva iu tal modo la forma di una preghiera, rivolta dal sovrano ai nobili e ai corpi rappresentativi delle classi dominanti per ottenere alcune sovven- zioni pecuniarie. Perocché debole e scissa la potestà regia, partita in vario modo tra i signori locali, che largamente usufruivano i diritti regali e molti cespiti di reddito, e fondata l'azienda pubblica principalmente sui possessi propri del principe e sui servigi personali dei soggetti, non rimaneva al sovrano nessun altro modo legittimo di ottenere direttamente ulteriori entrate, che l'umile richiesta dei sussidi. Quivi però si conteneva in germe quel diritto d' imporre gravezze, che poi divenne assoluto nei secoli seguenti, quando lo Stato potè aifermare la sua autorità, sulle rovine del feudalismo, e che nei tempi moderni apparve ordinato in forma temperata ed accordato col consenso del popolo.
In quell'età medesima si faceva dei sussidi un uso più o meno largo secondo la maggiore o minore potenza del sovrano, e talora più che consentiti erano imposti e divenivano in certo modo tributi ordinari. Cosi nel reame di Napoli, ove la regia dominazione fu assai i)iù forte e assoluta che altrove, i sussidi, chiamati in generale adiette (a coUigendo) e poi successivamente adiu'ori, aiuti, ostendiz-ie quasi che fossero di mestieri per respingere l' inimico, e in ultimo sovvenzioni straordinun'e, venivano richiesti nel principio del governo normanno dal re in pubblica assemblea di notabili e in via straordinaria, nei casi di bisogno, e ripartiti sulle terre allodiali. Il -primo Guglielmo ridusse le collette quasi sempre a tributi forzati, distribuiti in modo più 0 meno arbitrario sui beni stabili. Ma Guglielmo II, volendo alleviare il popolo dai carichi pubblici e mettere un certo ordine nella materia dei tributi, sta- bilì, chs le collette potessero levarsi soltanto in quattro casi : cioè per la difesa del regno all'occorrenza di una invasione straniera o d'una rivoluzione interna; per redimere dai nemici la persona del re, ove fosse captiva ; per la veste militare del re, de' suoi fratelli e figliuoli ; e per il matrimonio delle sue figlie, sorelle e nipoti : e ne determinò altresì il limite massimo per ciascun caso ('). Di poi furono usate con più larga misura e più frequentemente sotto gli Svevi e segnatamente da Federigo II ; il quale, convocato il parlamento e manifestati i bisogni dello Stato , ottenne che le sovvenzioni straordinarie potessero riscuotersi di anno in anno a norma del valore dei fondi. Di che il nome di bonalenenza, quasi possessione di J)eni , perchè il tributo gravava sui possessi fondiari secondo la loro stima, sia che si appartenessero ai nazionali oppure ai forestieri. Ma non sempre seguivasi l'ordine stabilito : Federigo II levò fino a sei collette per anno, le quali furono sì gravi, a
(') Bianchini, Storia delti: finanze, I, p. 117-18, 230-231; J. La Lumia, Storia della Sicilia sotto Guylielmo il buono. Firenze 1867, p. 133-34. Del resto i capitoli pubblicati poi da papa Ono- rio IV nel 1285, come un atto di accusa rivolto all'amministrazione di Federigo II, confermano sempre il diritto che i principi avevano, secondo le consuetudini del tempo, d'imporre ai sudditi speciali tributi e collette nei quattro casi seguenti : 1° per difesa del regno, minacciato da ribellione e da gnerra ; 2° per riscattare la persona del re, ove fosse prigione dei nemici ; 3° quando il re o i figli e fratelli di lui ricevessero l'ordine di cavalleria; 4° per l'appanaggio dello figlie, sorelle o nipoti del re in occasione di matrimonio. Cfr. Giannone, Storia civile del regno di Napoli. Milano 1845, voi. III. p. 465, 469; F. Sdopis, Storia delta legislazione italiana. Torino 1863, voi. II, p. .')4-55,
— 1:', — cominciare dal 1221, che gli ecclesiastici, tenuti per lo più al ventesimo del prodotto delle loro terre, una volta pagarono la metà, i laici, eh' eran meno aggravati, pa- gavano il decimo ('). Gli abusi crebbero e divennero veramente insopportabili sotto il governo degli Angioini, di cui diremo in appresso (').
Ciononostante le condizioni finanziarie dei principati nel medio evo erano quasi sempre molto tristi. Le loro entrate rimanevano sovente inferiori al bisogno , vuoi per il troppo spendere delle corti, e la frequenza dei viaggi , delle guerre e dei rivolgimenti politici ; vuoi per il mal governo e il disordine dell' amministra- zione. La finanza si sosteneva di una vita artificiale , perchè , essendovi continua eccedenza dell' uscita sull' entrata, era necessario ricorrere ai prestiti forzati e rui- nosi, alla vendita degli uffici, delle regalie e a simili espedienti, disonorevoli e perniciosi. Il perpetuo disavanzo non induceva misura nello spendere e previdenza nell'azienda pubblica; erano imperfetti gli ordini finanziari e mancava il calcolo esatto delle spese e delle entrate ; la non facile pratica del bilancio trovavasi in uno stadio molto rozzo; e mentre il danno della finanza cresceva di giorno in giorno per le grosse usure che si pagavano , il popolo era taglieggiato dagli agenti fiscali e dai signori, a cui venivano chieste di continuo somme elevate (').
Intanto le alienazioni molteplici, che il principe faceva dei diritti regali e dei cespiti di reddito avevano per effetto di accrescere via via il potere delle città e dei singoli domini. Ed inoltre tutte le ragioni che contribuirono a creare le autonomie locali di fronte all'autorità suprema, promossero altresì lo svolgimento della finanza nei liberi comuni. A misura che 11 sovrano imperante spogliavasi dei diritti politici , di cui a mano a mano si rivestivano per forza di circostanze le città , passava a queste gradatamente molta parte di potere fiscale e con esso la facoltà d'imporre tributi. Nei comuni italiani del medio evo si raccolse la maggior parte della vita politica contemporanea : e in essi abbiamo il più grande e più rego- lare svolgimento della finanza pubblica in quella età. Perchè raffermandosi sempre più la loro autonomia, che per molti rispetti tenne luogo dell' indipendenza, cresceva il bisogno e si raccoglievano le condizioni necessarie alla formazione di cospicui proventi e di un ordinato sistema finanziario.
(') Bianchini, Storia delle finanze^ I, \ì. i231.
(=) P. Napoli Signoielli, Vicende della coltura nelle due Sicilie. Napoli 1784, voi. IH, p. 6-7.
(') Cibrario, Economia politica del medio evo, p. 132-33. Gli abusi dei signori feud.ili ed eccle- siastici erano così gravi e molteplici nella finanza, che i re di quando in quando si trovavano costretti ad emanare editti per la rivendicazione delle regalie. È celebre nella storia la costituzione dell'im- peratore Federigo I, promulgata in Italia nel 1158 e intitolata, Quae sint regaliae, che fu poi fatta os.servare rigorosamente da Federigo II tantu nell'impero di Germania quanto nei reami di SicUia e di Puglia (D. Winspeare, Storia degli abusi feudali. Napoli 1811, p. 19). Sotto il nome di regalie s'intendevano i proventi di ogni sorta devoluti all'erario, comprese U straordinàrie coUelte per tlleuna felicissima intrapresa o spedizione del sovrano (Bianchini, Storia delle finanze, I, p. 224-25). In questo senso paria delle regalie Andrea d'Isernia, e dice: «Regalia est nomen generale, fiscalia et patrimo-
nialia coraprehendens. quae omnia regis dicuntur et snnt Comprehendit enim illa quae excadunt Curiae
seu Fisco (Ulriusque Siciliae Costitutiones , Capitula, fìilus et Pragmaticae. Venezia 1590, p. 209). E le distingue in antiche e nuove secondo che erano anteriori a Federigo II, o introdotte da lui: si vegga l'elenco nel Gianiione, Storia civile. III, p. 35 e segg.
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E già nella pace di Costanza (1183), couchiusa tra i Comuni della Lega lom- barda e r imperatore Federigo I, furono approvati e confermati i diritti, che quelli avevano acquistato nel corso di un secolo ; nel novero dei quali diritti entravano le regalie ('). E poi l'accresciuta potenza delle principali città , rette con forme più 0 meno libere e popolari, come Firenze, Milano , Venezia , Genova e Pisa, portò seco la necessità di grandi spese, e diede origine a provvedimenti finanziari, che hanno anticipato di lunga mano parecchie istituzioni moderne e contengono docu- menti preziosi di sapienza civile. Le fonti piìi importanti delle entrate comunali erano certe imposte , stabilite sul patrimonio o sui beni territoriali in base a catasti, i tributi indiretti sul consumo, e le prestanze od accatti. Einnovaudo il concetto dell'antico censo romano, i comuni aprirono un registro, che poi fu detto catasln, in cui fossero descritti per misura e per stima tutti i beni immobili e spesso anche i valori mobiliari in derrate, merci, ori, argenti e ragioni di credito, escluse le suppellettili di casa, secondo la dichiarazione fattane dai possessori con giuramento prestato, e, nei casi di mala fede, con pene rigorose e la surrogazione delle stime ufficiali ('). Un catasto di questo genere esisteva a Venezia, dove si fa risalire fino a, tempi remoti e forse al 1771, quando la repubblica cominciò a tassare i beni stabili ('); ed esisteva nel comune di Milano, dove, iniziato fin del secolo decimo- secondo e ripreso nel 1208 per opera del presidente Anguisola, fu compiuto poi dal bolognese Beno Gozzadini , podestà , e messo in esecuzione da Martino della Torre nel 1248 ('). E, tacendo della repubblica fiorentina, di cui diremo partico- larmente nell'altro capitolo, si trovano esempi di simili catasti a Siena (1198), a
(') Yern, Sloiia di Mil-ino, l, [). ■2ìd-20; P. Emiliani-Giudici, St^'Tia dei Comuni italiani. Firenze 18fi4, I, p. 362-6*1. Oltre i comuni liberi, vi erano quelli che avevano sotto lo stesso principato franchigie particolari, anche in ftitto di tributi. Cosi le franchigie di Susa risalgono ad Amedeo III, morto nel 1148, e quelle di Aosta, concedute da Tommaso, portano la data del 1188. Nel secolo XIII tali concessioni di franchezza e di libertà furono in gran numero. Nelle carte, collo quali eran fatte, si conteneva il novero dei diritti politici che venivano largiti agli abitanti della terra, quelli in ispecie di formar corpo comune e di eleggero sindaci che lo rappresentassero e ne amministrassero le entrate, di poter anche levnre qualche gabella od imposta per sopperire alle spese necessarie : si stabilivano le esenzioni dalle taglie e dal servigi personali e talvoltii la franchezza dalle gabelle e dai pedaggi per tutto il territorio dello Stato: si determinavano i tributi legittimi, e veniva fatta solennemente dal sovrano la promessa di non imporre accatti, balzelli, maletolte, né altre gravezze senza il consenso dei sudditi : e si ooireggevano gli abusi che l'avidità degli agenti fiscali e dei pubblicani avesse introdotti. Per mezzo di queste concessioni di franchigie venne a formarsi un' im- portante classe di cittadini privilegiati, che stava allato dei nobili e che fu spe.sso molto utile allo stesso principe (Cibrario, DcUc finanzi: della Monarchia di Savoia, p. 88-92).
(') Fertile, Storia del diritto italiano, voi. II, p. 1«, p. 473-480.
(') A. Quadri, Storia della statLilica. Venezia 1824, p. 101. Prima del 1424 esisteva in Venezia il catasto delle case del reddito annuo di due. 500,000, e del valor capitale di 7 milioni; il quale catasto, come riferisce Marin Sanudo il giovane, venne rinnovato in base a stime ufficiali nel 1425 e diede un aumento di reddito di 1. 12,424.
(') G. R. Carli, Relazione del censimento . ddlo Stato di Milano (nella Raccolta del Custodi P. M. voi. XIV, 1804, p. 184-86). Nel 1271 l'imposta fu in ragione di soldi 10 e d. 5 per 100 lire, e nel 1275 in ragiono di 1. 2: non vi era alcuna esenzione. I terreni pagavano inoltro un'imposta in natura detta imbottato, prelevata da prima sul vino raccolto, e poi nel ,13'J2 anche sul grano (Verri, Storia di Milano, I, p. 2C)-C1. 270, 356).
Vercelli (1228), a Bologna (1235), a Genova (1249), a Torino (1250), a Modena (1253), a Parma (1302), e in altre città ('). Erano vari da luogo a luogo per estensione e per assetto, ma avevano per lo piìi un carattere generale, e miravano a ritrarre lo stato economico delle persone nelle parti più importanti e fruttuose del loro avere a fine di proporzionarvi 1' imposta: e questa, fissata ora in base al valore ed ora al prodotto dei beni registrati nell'estimo, si accostava alla natura delle decime prelevate sul frutto dei terreni. Differisce quindi in alcune parti essenziali dalle moderne imposte, generali o speciali, sul reddito complessivo o delle singole industrie ('). Ed inoltre, generalmente parlando, le imposte dirette nel medio evo non erano in sul principio un carico permanente e ordinario, ma traevano origine dai bisogni straordinari dello Stato. E laddove nei principati servivano a ripartire i sussidi concessi od imposti ; nei Comuni formavano ima maniera più o meno acconcia di dividere tra i privati l'aggravio delle prestanze. Indi a poco a poco perdettero la qualità primitiva e si trasformarono in veri tributi.
Le gabelle e i dazi sul trasporto e sullo spaccio delle merci, percepiti alle porte delle città, nei mercati, nei porti, sui ponti, vari da luogo a luogo e mol- teplici, spesso confusi con tributi di specie diversa, tasse e pedaggi, talora coordi- nati al fine di proteggere qualche industria locale o posti per aggravare i commer- cianti forestieri, e sempre circoscritti al territorio del comune, formavano un sistema che corrisponde perfettamente alle condizioni economiche e politiche di quel tempo, e davano im provento cospicuo alla finanza. I telont, ì ripatici e le gabelle su diversi oggetti di consumo erano antichi a Venezia , a Milano e in molte altre città (•'). Si ordinarono a mano a mano e si perfezionarono le tariffe doganali, ac- costandosi sempre più al principio dei dazi proporzionati al valore delle merci tassate (') : e furono talvolta stabiliti concordati tra vari comuni a fine di togliere le controversie frequenti, semplificare la materia daziaria , già troppo intricata, e fare anche alcime concessioni reciproche, anticipando in certa guisa 1' espediente
(') N. M. Nicolai, M.morie leggi ed usxrvazionl ■mila campagna e sull'annona di Ruma. Roma 1803, p. 2Sp. 5. I commissari, incaricati dal pontefice Paolo III nel 1543 di fare la ripartizione di un'imposta generale per tutto lo Stato, trovarono che esisteva già in molti luoghi l'estimo e vi erano imposte ordinario ," benché circoscritte ad una provincia, ad nn comune o al una regione, tuttavia fisse e stabilite principalmente sui terreni. E il Nicolai riferisce in proposito alcuni statuti antichi ; molti altri esempi si veggano nel luogo cUato del Portilo.
('-) 11 sistema tributario ha nei tempi primitivi un carattere di gcncr.ilità e semplicità, che poi va perdendo a mano a mano. Vedi A. Wagner, Finanzwissensrhafl : Allgemeine Steuerlehre, 1880, pag. 391-93.
(") S. Komanin, Storia documeidala di Venezia. Venezia 1853, voi. I, p. 253-54. I teloni etano dazi, posti all'entrare delle merci nella città o nel distretto; i ripatici all'approdare delle barche.
(') Verri, Storia di Milano, 1, p. 21S-16. I teloni, che in origine furono un tributo assai tenue o destinato probabilmente alla conservazione e al rifacimento delle strade medesime, si pagavano prima a un tanto per ogni carro e per ogni bestia da soma senza riguardo alla natura delle merci, ossia per decimazione, e, come dice il Fiamma: « De quolibet carru lignorum recipiebat unum, de qualibot sporta piscium unum, de qualibet fornata panis unum ». Indi, accrescendosi il carico, se ne avverti la sproporzione, e si cercò di formare una tariffa regolala secondo il valore delle merci. Nel 12H3 e.^isteva una tariffa di questo genere. Di poi colla nuova tariff.t, pubblicata nel 1396, vennero tassate le merci in